L’obbligo di mantenimento dopo la maggiore età
Molti genitori credono che l’obbligo di mantenere i figli termini automaticamente con il raggiungimento della maggiore età. In realtà, secondo la giurisprudenza italiana, il compimento dei 18 anni non mette fine, di per sé, al diritto del figlio al mantenimento da parte dei genitori. Questo obbligo continua finché il figlio non ha raggiunto una condizione di autosufficienza economica o, comunque, non ha ancora completato un percorso serio e coerente verso l’indipendenza.
Non si tratta quindi solo di un criterio anagrafico. L’idea alla base della normativa e dell’orientamento costante dei tribunali è che il genitore debba continuare a contribuire alle necessità del figlio, anche se maggiorenne, fino a quando quest’ultimo non sia effettivamente in grado di provvedere da solo al proprio sostentamento. Naturalmente, ciò non significa che l’obbligo sia illimitato nel tempo: è essenziale valutare se il figlio si stia impegnando in modo concreto, ad esempio studiando con continuità, svolgendo stage, cercando lavoro o seguendo percorsi di formazione professionale.
È proprio questo elemento — l’attiva ricerca dell’autonomia — che incide maggiormente sull’eventuale richiesta di revoca. I giudici, infatti, guardano non solo alla situazione attuale del figlio, ma anche al suo comportamento. Se il figlio non si impegna minimamente o rifiuta opportunità lavorative, l’obbligo potrebbe venir meno. Tuttavia, è sempre necessario un accertamento caso per caso, spesso con l’assistenza di un avvocato.
Quando il figlio non ha più diritto all’assegno
La possibilità di chiedere la revoca dell’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne si fonda sull’idea che il mantenimento non sia eterno. Ma quando, in concreto, si può sostenere che il figlio non ne abbia più diritto? I casi più comuni riguardano tre situazioni: quando il figlio ha trovato un lavoro stabile, quando ha un reddito anche non elevato ma continuativo, oppure quando, pur potendolo fare, non si attiva minimamente per trovare un’occupazione o concludere un percorso di studi.
È importante chiarire che non serve necessariamente che il figlio abbia un lavoro “a tempo indeterminato” o particolarmente remunerativo. La giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di revocare l’assegno anche in presenza di lavori a termine, se questi risultano regolari, continuativi e sufficienti a garantire una certa autonomia economica. In altri casi, la revoca è stata accordata anche quando il figlio ha dimostrato di avere capacità economiche attraverso attività autonome, collaborazioni o altre entrate stabili.
Diversamente, se il figlio si trova in una condizione oggettivamente difficile — ad esempio per motivi di salute o per un mercato del lavoro particolarmente chiuso — l’obbligo può permanere. Ma se, al contrario, risulta evidente che il figlio si disinteressa completamente al proprio futuro, magari restando inattivo per anni dopo il diploma o l’università, i giudici possono valutare l’interruzione del contributo.
Revoca dell’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne: i presupposti legali
La revoca dell’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne può essere chiesta solo tramite un’azione davanti al giudice competente, generalmente lo stesso che ha emesso il provvedimento originario. Non è possibile interrompere il versamento unilateralmente, neppure se si ritiene che il figlio non ne abbia più diritto. Questa è una delle prime cose che i genitori devono sapere: agire senza una modifica formale dell’ordine del giudice espone a rischi concreti, anche di esecuzione forzata.
Secondo la Corte di Cassazione, per ottenere la revoca servono prove concrete: ad esempio documenti che dimostrino l’attività lavorativa del figlio, dichiarazioni reddituali, curriculum, contratti, oppure elementi che indichino il suo disinteresse nel cercare occupazione o formarsi professionalmente. Non è sufficiente una semplice percezione soggettiva o un’osservazione generica.
Il giudice valuta caso per caso, anche in base all’età del figlio, al percorso formativo seguito, alla disponibilità di lavoro in relazione alle sue competenze, e alle opportunità realisticamente a sua disposizione. La revoca può quindi essere accolta solo se risulta evidente che il figlio ha raggiunto un’autonomia economica oppure ha perso il diritto al mantenimento per sua responsabilità. A quel punto, il giudice può stabilire che l’assegno non è più dovuto, anche retroattivamente.
Il ruolo dell’autosufficienza economica nella revoca
Uno degli elementi centrali per valutare la possibilità di revocare l’assegno è l’autosufficienza economica del figlio. Ma cosa si intende esattamente con questa espressione? La giurisprudenza non richiede che il figlio maggiorenne abbia un lavoro fisso o un contratto a tempo indeterminato. L’autosufficienza viene valutata in concreto: ciò che conta è che il figlio sia in grado di mantenersi da solo, con un reddito stabile e sufficiente a coprire le sue necessità primarie.
La Cassazione ha più volte affermato che anche un’attività lavorativa precaria può essere ritenuta idonea, se effettiva, continuativa e remunerativa. Lo stesso vale per collaborazioni professionali o redditi derivanti da attività autonome. Naturalmente, il giudice tiene conto anche dell’età, del titolo di studio, del percorso formativo seguito e delle condizioni del mercato del lavoro. Un giovane di 24 anni con un diploma e qualche esperienza lavorativa sarà giudicato in modo diverso rispetto a uno studente universitario appena maggiorenne.
La difficoltà sta spesso nel dimostrare che il figlio ha raggiunto davvero tale soglia di indipendenza. Per questo motivo è essenziale raccogliere documentazione aggiornata sul reddito, le attività svolte, eventuali incarichi professionali o impieghi, anche saltuari. In mancanza di prove oggettive, la richiesta di revoca rischia di essere respinta.
Comportamento del figlio e mancata attivazione: cosa rileva davvero
La mancanza di volontà del figlio di costruirsi un’autonomia può costituire un elemento determinante nella valutazione del giudice. È ormai consolidato il principio secondo cui non ha diritto a proseguire nel godimento dell’assegno il figlio maggiorenne che, pur potendo lavorare o completare un percorso di studi, si rifiuti di farlo o si mostri del tutto inerte.
I giudici distinguono chiaramente tra situazioni di difficoltà oggettiva e casi in cui il figlio, pur avendo possibilità concrete, si limita a restare inattivo. Ad esempio, una persona che abbandona gli studi senza cercare un’alternativa, o che rifiuta offerte lavorative per ragioni futili, potrebbe perdere il diritto al mantenimento. Anche la mancanza di impegno costante nello studio o il passaggio da un corso all’altro senza una progettualità seria possono essere valutati negativamente.
In casi del genere, la revoca dell’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne diventa una possibilità concreta, purché l’inattività sia dimostrata con elementi specifici. È utile raccogliere testimonianze, documentazione universitaria, segnalazioni di offerte rifiutate o altre circostanze che mostrino una condotta di disinteresse. Il giudice, in questi casi, può decidere che l’assegno non è più dovuto, perché il figlio ha fatto venir meno i presupposti del mantenimento.
Cosa valutano i giudici nei casi concreti
Ogni richiesta di revoca viene valutata individualmente dal giudice, che deve accertare se i presupposti per il mantenimento siano effettivamente venuti meno. In concreto, i tribunali esaminano numerosi fattori: non solo il reddito del figlio, ma anche il suo comportamento generale, il livello di istruzione, le eventuali difficoltà personali, il contesto familiare e territoriale.
Un esempio ricorrente nella prassi riguarda i figli che hanno completato un percorso universitario ma non cercano attivamente lavoro. Oppure coloro che hanno interrotto gli studi e vivono con uno stile di vita dipendente dai genitori, senza contribuire in alcun modo alle proprie spese. In queste situazioni, se documentate, è possibile ottenere una revoca. Diverso è il caso di chi, pur in cerca di occupazione, non riesce a trovarla per motivi oggettivi: qui l’obbligo può persistere, almeno temporaneamente.
Va ricordato che non esistono soglie rigide di età o reddito. Un figlio di 28 anni può ancora avere diritto al mantenimento, così come un ragazzo di 21 anni può perderlo. Ciò che conta è la situazione specifica. È anche per questo che l’assistenza legale diventa fondamentale: serve a raccogliere correttamente gli elementi di prova, a impostare bene la domanda e ad affrontare il giudizio in modo efficace, evitando il rischio che venga rigettata per carenze formali.
Come chiedere la revoca dell’assegno: il ruolo dell’avvocato
Per ottenere la revoca dell’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne, non basta interrompere i versamenti. È necessario presentare un ricorso al tribunale, chiedendo una modifica delle condizioni stabilite nella sentenza di separazione o divorzio, oppure nell’accordo omologato. La procedura non è automatica: va attivata formalmente da uno dei genitori, e deve essere supportata da documentazione adeguata.
In questi casi, la presenza di un avvocato è essenziale, non solo perché si tratta di un procedimento tecnico, ma anche perché spesso è necessario predisporre prove dettagliate, raccolte in modo corretto. Il legale può aiutare a ricostruire la situazione attuale del figlio, confrontandola con quella esistente al momento della pronuncia originaria, e presentare al giudice una richiesta motivata, evitando genericità che potrebbero compromettere il risultato.
Non va escluso neanche il ricorso alla negoziazione assistita, se entrambe le parti sono d’accordo: in quel caso, si può concordare la revoca senza passare da un giudizio contenzioso. Ma anche in questa ipotesi serve il supporto di legali, per dare valore legale all’intesa raggiunta. In ogni caso, ciò che conta è che la modifica del mantenimento avvenga sempre con un atto formale. Il genitore che smette di pagare l’assegno senza passare dal giudice, infatti, rischia di essere comunque obbligato al pagamento degli arretrati.
Le prove da portare in giudizio
Uno degli aspetti più delicati del procedimento per la revoca dell’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne riguarda la prova. Il genitore che presenta il ricorso ha l’onere di dimostrare che i presupposti per il mantenimento non sussistono più. La prova può riguardare, ad esempio, la condizione lavorativa del figlio, la sua capacità di generare reddito, oppure il suo disinteresse nella ricerca di un’autonomia.
I documenti che di solito vengono allegati comprendono: contratti di lavoro, buste paga, dichiarazioni dei redditi, visure da banche dati contributive (INPS, INAIL), curriculum, corrispondenze mail o messaggi che dimostrino l’inattività, certificazioni universitarie, oppure anche prove testimoniali. In alcuni casi può essere utile richiedere un’indagine patrimoniale o l’accesso a banche dati pubbliche, se vi sono fondati motivi per sospettare un’attività lavorativa non dichiarata.
Il giudice valuta la completezza e la coerenza del quadro probatorio. Anche se non esistono automatismi, presentare un ricorso ben documentato aumenta in modo significativo le possibilità di accoglimento. Allo stesso tempo, è bene sapere che una richiesta generica o basata su impressioni rischia di essere respinta, con conseguente condanna alle spese processuali.
Revoca assegno mantenimento figlio maggiorenne: cosa può decidere il tribunale
Il giudice, valutati tutti gli elementi, può decidere se revocare l’assegno in modo totale, oppure limitarlo nel tempo o nell’importo. La revoca dell’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne può infatti avvenire in diverse forme, a seconda della situazione concreta. In alcuni casi viene escluso del tutto l’obbligo, a partire da una certa data; in altri, si dispone una revoca progressiva, dando tempo al figlio per raggiungere una piena autonomia, oppure si riduce la somma riconosciuta.
Talvolta i tribunali decidono anche con effetto retroattivo, se risulta evidente che il figlio aveva già da tempo raggiunto l’autosufficienza e che l’obbligo non aveva più ragione d’essere. Tuttavia, l’effetto retroattivo non è automatico: deve esserci una domanda in tal senso e devono emergere elementi precisi. In mancanza, la revoca produce effetti solo dal momento della decisione.
È importante anche sapere che il tribunale può respingere la richiesta di revoca se ritiene che il figlio non sia ancora in grado di mantenersi da solo o che la condotta del genitore sia stata improntata a disinteresse. Per questo motivo, prima di avviare un’azione di questo tipo, è opportuno confrontarsi con un avvocato esperto in diritto di famiglia, per valutare se ci siano davvero i presupposti e quali siano le probabilità di accoglimento.
Come cambia la situazione in caso di accordo tra i genitori
In alcune situazioni, i genitori preferiscono evitare il contenzioso e decidere di comune accordo di modificare o revocare l’assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne. Questa strada è sicuramente più rapida e, in presenza di una reale intesa, può risultare meno costosa rispetto a un giudizio ordinario. Tuttavia, anche in caso di accordo, è necessario che il tutto venga formalizzato con valore legale.
Un genitore non può semplicemente smettere di versare l’assegno perché l’altro è d’accordo “a voce”. Serve una procedura che dia validità all’intesa: ad esempio, si può ricorrere alla negoziazione assistita tra avvocati, che permette di redigere un accordo legalmente valido da trasmettere al procuratore della Repubblica per l’autorizzazione. Oppure, se l’assegno era stato stabilito con sentenza, si può depositare congiuntamente un ricorso per modifica delle condizioni.
Va ricordato che il mantenimento al figlio maggiorenne non è un diritto esclusivo del genitore che lo riceve, ma appartiene al figlio stesso. Per questo motivo, anche nel caso di accordo, è consigliabile che il figlio sia consenziente o almeno informato, soprattutto se vive ancora nella casa familiare. Una revoca “consensuale” non può mai ledere i diritti del figlio se questi non ha effettivamente raggiunto l’autonomia economica.
Conclusioni sull’assegno di mantenimento e sulla sua revoca
L’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne non ha una scadenza automatica: resta in vigore finché persistono i presupposti che ne hanno giustificato l’attribuzione. Tuttavia, se il figlio ha raggiunto un’indipendenza economica oppure si rifiuta di costruirla nonostante ne abbia le possibilità, il genitore può chiedere la revoca dell’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne.
Per farlo in modo corretto è necessario passare da un procedimento giudiziale o, se vi è accordo tra le parti, da un atto formale validato legalmente. Non è sufficiente una semplice comunicazione o un’intesa informale. Occorre dimostrare in modo documentato che il figlio ha perso il diritto al mantenimento, allegando elementi concreti e rilevanti.
La giurisprudenza in materia è ormai abbastanza consolidata, ma ogni caso fa storia a sé. Proprio per questo motivo è fortemente consigliato rivolgersi a un avvocato esperto in diritto di famiglia, capace di valutare la situazione e predisporre una strategia efficace per ottenere la revoca.
FAQ sulla revoca dell’assegno per il figlio maggiorenne
Quando posso chiedere la revoca dell’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne?
Puoi farlo quando il figlio ha raggiunto l’autosufficienza economica oppure, pur potendo, non si impegna a costruirla. La revoca non è automatica: serve un provvedimento del giudice.
Serve un avvocato per chiedere la revoca dell’assegno?
Sì, è fortemente consigliato. L’assistenza di un avvocato è necessaria per redigere correttamente il ricorso e raccogliere le prove utili ad accogliere la richiesta.
È possibile revocare l’assegno anche se il figlio lavora solo part-time?
Dipende. Se il lavoro è continuativo e garantisce un reddito sufficiente all’autonomia, anche un impiego part-time può giustificare la revoca. Il giudice valuta caso per caso.
Cosa succede se smetto di pagare l’assegno senza passare dal giudice?
In quel caso, il figlio (o il genitore presso cui vive) può chiedere l’esecuzione forzata e il recupero degli arretrati. Il mancato pagamento senza autorizzazione giudiziale può essere rischioso.
Si può fare la revoca per accordo tra genitori?
Sì, ma l’accordo deve essere formalizzato con valore legale, tramite negoziazione assistita o ricorso congiunto. In ogni caso, il diritto al mantenimento è del figlio, quindi è importante che l’accordo non leda suoi diritti.