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Impresa familiare separazione coniugi: liquidazione e comunione de residuo

30 novembre 2023

L'impresa familiare è una forma di attività imprenditoriale in cui membri della stessa famiglia, tra cui coniugi, genitori, figli e altri parenti, collaborano attivamente alla gestione e all'operatività dell'azienda. In Italia, è regolata dall'articolo 230 bis del codice civile, il quale stabilisce che i familiari coinvolti nell'impresa hanno diritti economici e partecipativi in base al loro contributo lavorativo.

In situazioni di separazione o divorzio, l'impresa familiare si trova di fronte a sfide legali e pratiche significative. La separazione tra i coniugi può influire sul funzionamento dell'impresa, in quanto può determinare il recesso di un coniuge dall'attività lavorativa. Inoltre, le norme sulla comunione de residuo possono entrare in gioco, determinando i diritti economici di ogni coniuge sull'impresa. La giurisprudenza italiana ha stabilito che in caso di scioglimento della comunione legale, al coniuge non imprenditore spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell'azienda, calcolato al netto delle passività. Questi aspetti sottolineano la complessità e l'importanza di una gestione accurata e consapevole dell'impresa familiare in contesti di separazione o divorzio.

Approfondiamo il tema.

Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889 impresa familiare e comunione de residuo
Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889: impresa familiare e comunione de residuo

Impresa familiare: cos'è e come funziona?

L'impresa familiare, un concetto giuridico saldamente radicato nell'ordinamento italiano e disciplinato dall'art. 230 bis del codice civile, rappresenta una realtà aziendale in cui i membri della famiglia dell'imprenditore forniscono un contributo lavorativo costante. Questa figura giuridica nasce dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, principalmente per tutelare i familiari che lavorano nell'impresa senza ricevere protezioni adeguate, soprattutto nelle piccole imprese dove spesso la figura paterna dominava, lasciando moglie e figli senza adeguato riconoscimento del loro lavoro.

A livello giuridico, esistono due principali interpretazioni sulla natura dell'impresa familiare. Alcuni sostengono che essa costituisca una forma di impresa collettiva, dove tutti i membri familiari coinvolti assumono una responsabilità congiunta e agiscono come co-imprenditori. Al contrario, altri vedono l'impresa familiare come una continuazione dell'impresa individuale, con l'imprenditore principale (generalmente il fondatore) che mantiene la responsabilità legale completa, compresa la responsabilità per le obbligazioni aziendali e i rischi di insolvenza.

L'impresa familiare si compone dell'imprenditore fondatore, del coniuge, dei parenti entro il terzo grado e degli affini entro il secondo grado, inclusi figli adottivi e naturali. Il rapporto familiare deve persistere per l'intera durata dell'impresa, e le prestazioni lavorative dei familiari devono essere continuative, anche se non necessariamente a tempo pieno.

Dal punto di vista economico, i membri della famiglia hanno diritto al mantenimento proporzionale alle condizioni finanziarie dell'impresa, alla partecipazione agli utili (ma non alle perdite, dato che non sussiste il rischio d'impresa per loro), e ai beni acquisiti con gli utili. Inoltre, hanno un ruolo nelle decisioni aziendali maggiori, decidendo a maggioranza su questioni come l'uso degli utili, la gestione straordinaria e la direzione produttiva dell'impresa.

Tuttavia, è importante notare che, a dispetto di questi diritti e responsabilità, il membro familiare non può trasferire la sua partecipazione a persone esterne alla famiglia nucleare, a meno che non vi sia il consenso unanime degli altri membri. Inoltre, alla cessazione dell'attività lavorativa o in caso di alienazione dell'azienda, il familiare ha diritto a una liquidazione in denaro, che può essere distribuita in più annualità.

L'impresa familiare, sebbene fornisca un modello robusto per la collaborazione e la continuità familiare, affronta significative sfide nel passaggio generazionale, con un alto tasso di mortalità aziendale durante questo periodo di transizione. Questo aspetto sottolinea la complessità e l'importanza della pianificazione e della gestione nella conduzione di tali imprese.

Impresa famigliare separazione coniugi: cosa accade?

La questione degli effetti della separazione o del divorzio sull'impresa familiare in Italia è complessa, data l'assenza di una regolamentazione specifica da parte del legislatore. La dottrina e la giurisprudenza hanno formulato varie teorie, con approcci talvolta contrastanti. Una teoria ampiamente accettata sostiene che la separazione personale tra i coniugi non provoca automaticamente la cessazione del rapporto di impresa familiare, a meno che non cessi anche l'attività lavorativa del coniuge all'interno dell'impresa.

Secondo la maggior parte degli esperti, la separazione personale non influisce sulla condizione di coniuge, e dunque non preclude la possibilità che il coniuge separato continui a lavorare nell'impresa familiare. Tuttavia, spesso si verifica che il coniuge separato decida di recedere dall'impresa, situazione in cui i suoi diritti patrimoniali vengono definiti dall'art. 230 bis del codice civile.

D'altra parte, alcuni ritengono che la separazione, pur non modificando lo status di coniuge, incida sulla famiglia come entità unita dalla vita e dal lavoro comuni, elementi fondamentali dell'impresa familiare. Questo punto di vista suggerisce che l'impresa familiare possa cessare alla data del provvedimento giudiziario che autorizza la separazione. Tuttavia, non è escluso che, in assenza di un deterioramento significativo dei rapporti familiari, il coniuge (o ex coniuge) possa continuare a contribuire all'impresa, soprattutto se la sua attività risulta particolarmente utile ed efficace.

Un coniuge perde la condizione richiesta dalla legge per partecipare all'impresa familiare solo quando cessano gli effetti civili del matrimonio. La separazione legale o la separazione consensuale non hanno questo effetto, a meno che la collaborazione non sia possibile solo all'interno del nucleo familiare.

In sintesi, esistono diverse interpretazioni giuridiche: una parte della giurisprudenza afferma che l'impresa familiare composta solo dai due coniugi cessa con l'autorizzazione alla separazione, in base all'art. 2272, n. 2, del codice civile, che prevede lo scioglimento della società per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale. Al contrario, altra giurisprudenza sostiene che la separazione personale dei coniugi non comporta automaticamente la cessazione dell'impresa familiare o del singolo rapporto di partecipazione.

In ogni caso, nella maggior parte dei casi la separazione spinge uno dei due coniugi a recedere dall’impresa famigliare non intendendo più lavorare con l’altro.

Cosa accade al momento della separazione dei coniugi per i rapporti residui relativi alla impresa famigliare?

Nel contesto di una separazione coniugale, emergono questioni complesse riguardanti l'impresa familiare e l'applicazione delle norme sulla comunione de residuo. La Cassazione Sezioni Unite, con la sentenza del 17 maggio 2022 n. 15889, ha affrontato questi problemi, evidenziando un contrasto significativo tra le varie interpretazioni. Tale contrasto deriva dalle incertezze normative e dalla mancanza di una formulazione chiara delle regole, lasciando agli interpreti il compito di risolvere i dubbi.

Uno degli aspetti cruciali riguarda la natura del diritto relativo all'impresa familiare nel contesto della comunione de residuo. Questa questione non solo influisce sulla posizione dei coniugi ma ha anche implicazioni significative nei rapporti con i terzi, in particolare con i creditori del coniuge imprenditore, soprattutto in situazioni di debiti che portano a procedure concorsuali.

La sentenza ha chiarito che, nel caso di un'impresa familiare attribuibile a un solo coniuge e costituita dopo il matrimonio, rientrante nella cosiddetta comunione de residuo, all'altro coniuge spetta un diritto di credito. Questo diritto equivale al 50% del valore dell'azienda, considerata come un complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, al netto delle eventuali passività esistenti alla stessa data.

In conclusione, il principio di diritto stabilito dalla Cassazione Sezioni Unite riconosce un diritto di compartecipazione sul piano creditizio, pari alla metà del valore monetario o dei frutti oggetto di comunione de residuo, o del controvalore dei beni aziendali e degli eventuali incrementi, dedotte le passività. Questo orientamento giuridico fornisce un quadro più chiaro per la gestione delle implicazioni patrimoniali in caso di separazione o divorzio, specialmente in relazione all'impresa familiare.

In particolare Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889 adotta il seguente principio di diritto: "Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella cd. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all'altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell'azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data".

Impresa familiare e comunione de residuo: la tesi della natura reale del diritto del coniuge

Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo ricorda anzitutto come parte della dottrina sia orientata per la natura reale del diritto del coniuge: “la dottrina che sostiene la natura reale del diritto del coniuge non imprenditore sui beni ricadenti nel novero della cd. comunione de residuo trae principale argomento dalla lettera della legge che, per le ipotesi di cui all'art. 177, lett. a) e b), prevede che i beni interessati "costituiscono oggetto della comunione", ed all'art. 178 c.c., (quanto all'azienda gestita solo da un coniuge), prevede che i beni destinati all'esercizio dell'impresa (se costituita dopo il matrimonio) e gli incrementi dell'azienda (costituita anche precedentemente) "si considerano oggetto della comunione", sempre che sussistano ancora al momento dello scioglimento della comunione legale. La scelta semantica del legislatore risulterebbe poi maggiormente conforme alla struttura ed alla ratio dell'istituto, in quanto se si giustifica un sacrificio per l'interesse del coniuge titolare dei beni de quibus nella permanenza del regime della comunione legale, al fine di assicurare la piena disponibilità dei redditi prodotti e degli incrementi, nonchè la libertà nella gestione dei beni aziendali ex art. 178 c.c., tale sacrificio non può protrarsi una volta che venga meno il regime della comunione legale.

La conseguenza è che i beni in questione, senza mai transitare nell'ambito di quelli sottoposti al regime della comunione legale (con le peculiari regole di amministrazione e gestione), ricadono direttamente in comunione ordinaria” (Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo).

Sempre Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo, evidenzia come questa “soluzione sarebbe poi confortata, sempre sul piano letterale, dal rilievo che l'art. 192 c.c., pur regolando i rimborsi e le restituzioni da effettuare tra i coniugi al cessare del regime legale patrimoniale della famiglia, nulla prevede quanto ai beni oggetto della comunione de residuo, dal che dovrebbe trarsi l'esclusione dell'esistenza di un diritto di credito, quale conseguenza dell'attualizzazione del diritto del coniuge sui beni oggetto della comunione de residuo. I beni in esame, da reputarsi beni personali "manente communione" legale, divengono quindi automaticamente beni comuni, il che offrirebbe maggiori garanzie anche al coniuge, che, divenendone comproprietario, eviterebbe il concorso con i creditori dell'altro coniuge, che invece subirebbe, ove si accedesse alla tesi contrapposta” (Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo).

Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889: la testi del diritto di credito in relazione all’impresa familiare e comunione de residuo

L’altra posizione della dottrina è quella ricordata sempre da Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo: “altra parte della dottrina ha poi evidenziato che, in relazione al dettato dell'art. 178 c.c., quanto alla comunione de residuo concernente l'azienda gestita da uno solo dei coniugi, vi sarebbe una vera e propria impossibilità materiale di concepire una "comunione reale" con riferimento agli incrementi aziendali, i quali consistono in aumenti di valore dei beni aziendali connessi all'attività d'impresa, all'avviamento o al mutamento delle condizioni di mercato, il che porta a reputare che nella maggior parte dei casi non si tratta di beni materiali ma di valori contabili, risultanti dalla differenza tra il valore dell'azienda al momento dell'instaurarsi della comunione legale ed il suo valore al successivo momento dello scioglimento, e quindi insuscettibili di "contitolarità reale"” (Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo).

Peraltro, una ulteriore posizione della dottrina ricordata da Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo è quella della natura intermedia del diritto: “il richiamo alla peculiare natura delle varie ipotesi per le quali il legislatore ha configurato la comunione de residuo ha poi indotto altra parte della dottrina ad adottare una soluzione intermedia tra quelle sinora esposte, ritenendo che la risposta vari a seconda del bene cui rapportare l'istituto, ovvero distinguendo a seconda della diversa causa di scioglimento della comunione legale.

Infatti, la natura reale del diritto andrebbe affermata solo per i beni ex art. 177 c.c., lett. b) e c), - ed in ogni caso - nonchè per i beni ex art. 178 c.c., solo se lo scioglimento della comunione legale avviene perchè l'imprenditore è venuto a mancare, definitivamente o provvisoriamente (morte, anche presunta, assenza), dovendosi invece aderire alla tesi del diritto di credito per tutte le altre ipotesi. Una variante di tale tesi è quella che invece reputa che, in vista della sostanziale tutela della libertà imprenditoriale, la soluzione creditizia andrebbe affermata per i beni e gli incrementi aziendali, mentre quella reale per gli utili derivanti dall'attività imprenditoriale e per i frutti e i proventi ex art. 177 c.c., lett. b) e c), essendo tale soluzione maggiormente fedele anche al dettato normativo” (Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo).

Impresa familiare e comunione de residuo: la motivazione di Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889

Come anticipato, Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo, ha optato per la soluzione che fa riferimento alla natura di diritto di credito del diritto del coniuge.

Ciò, come subito vedremo, soprattutto in una lettura funzionale delle previsioni.

Infatti, Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo, indica che “l'individuazione dei beni oggetto della comunione de residuo testimonia lo sforzo del legislatore di raggiungere un auspicato bilanciamento tra il principio solidaristico, che dovrebbe informare la vita coniugale (art. 29 Cost.), da un lato, e la tutela della proprietà privata e della remunerazione del lavoro, dall'altro (artt. 35, 41 e 42 Cost.).

Inoltre, e con specifico riferimento ai beni di cui all'art. 178 c.c., si pone anche la finalità di non coinvolgere il coniuge non imprenditore nella posizione di responsabilità illimitata dell'altro, assicurando a quest'ultimo la piena libertà d'azione nell'esercizio della sua attività d'impresa.

Non può, infatti, trascurarsi l'esigenza di garantire il coordinamento tra le novità introdotte dalla riforma del diritto di famiglia ed il preesistente impianto codicistico che nelle sue linee fondamentali è volto a privilegiare l'autonoma e libera disponibilità delle risorse, nonchè il principio della circolazione dei valori ed il mantenimento dei livelli di produttività, che non possono soffrire ostacoli eccessivi per effetto della scelta in favore del regime della comunione legale” (Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo).

Da tale prospettiva Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo, indica che “è evidente come il legislatore abbia inteso garantire, finchè dura la comunione legale, al coniuge imprenditore il potere di gestione dell'impresa, investendo a suo piacimento gli utili, e disponendo nel modo più libero dei beni e degli utili aziendali. Ne deriva che i beni oggetto della comunione de residuo, ed in particolare quelli di cui all'art. 178 c.c., che rilevano nella vicenda in esame, non possano considerarsi comuni, almeno fin tanto che non sia intervenuta una causa di scioglimento del regime legale (e non rilevando a tal fine la sola cessazione della destinazione dei beni all'impresa ovvero il venir meno della qualità di imprenditore in capo al coniuge), ancorchè parte della dottrina, al fine di evitare confusione con i beni personali di cui all'art. 179 c.c., preferisca adottare la dizione di beni "propri", di esclusiva titolarità del coniuge percettore” (Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo).

Comunione de residuo e impresa familiare: la scelta operata da Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889

Per quanto ora ricordato, Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo, opta per la tesi della natura di diritto di credito: “ritiene il Collegio che le considerazioni che precedono, dalle quali è dato ricavare come le esigenze solidaristiche familiari siano state in parte reputate recessive a fronte dell'esigenza di assicurare il soddisfacimento di altri concorrenti diritti di pari dignità costituzionale, inducano a prediligere la tesi della natura creditizia del diritto sui beni oggetto della comunione de residuo, tesi che, senza vanificare in termini patrimoniali l'aspettativa vantata dal coniuge sui beni in oggetto, tra l'altro garantisce la permanenza della disponibilità dei frutti e dei proventi e dell'autonomia gestionale, quanto all'impresa, in capo all'altro coniuge, nelle ipotesi previste dall'art. 178 c.c., evitando un pregiudizio altresì per le ragioni dei creditori, consentendo in tal modo la sopravvivenza dell'impresa, e senza che le vicende dei coniugi possano avere una diretta incidenza sulle sorti della stessa” (Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo).

Tale soluzione è giustificata da Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo con una pluralità di ragioni:

  • “l'insorgenza di una comunione anche sui beni mobili ed immobili confluiti nell'azienda, con la contitolarità che ne discende pone evidenti problemi nei rapporti con i terzi che abbiano avuto rapporti con l'impresa individuale del coniuge, i quali vedrebbero dal momento dello scioglimento della comunione legale, i beni non più appartenenti per l'intero all'imprenditore, ma in comunione con l'altro coniuge, con la conseguente dimidiazione della garanzia patrimoniale dai medesimi offerta, effetto questo che potrebbe anche scoraggiare i creditori dal continuare a riporre fiducia nella gestione successiva allo scioglimento della comunione legale. Inoltre, proprio la situazione di contitolarità sui beni oggetto della comunione de residuo imporrebbe, nella loro successiva gestione, il rispetto delle regole dettate per i beni comuni, con il concreto rischio di paralisi nell'esercizio dell'attività di impresa, anche laddove si reputi che la qualità di imprenditore resti sempre in capo al solo coniuge che l'aveva prima dello scioglimento del regime della comunione legale” (Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo);
  • “ancora, appare priva di intrinseca razionalità la conclusione che si ricollega alla tesi che afferma la natura "reale" del rapporto, per cui si avrebbe un incremento dei legami economici fra i due coniugi proprio quando e, anzi addirittura, proprio "perchè" si sono prodotte vicende che, secondo la stessa previsione legislativa, ne dovrebbero invece comportare la cessazione” (Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo);
  • “nè va trascurato il fatto che il passaggio automatico dei beni comuni de residuo dalla titolarità e disponibilità esclusive del coniuge al patrimonio in comunione si tradurrebbe in una menomazione dell'autonomia e della libertà del coniuge stesso, che il legislatore ha, invece, inteso salvaguardare nella fase precedente allo scioglimento, con il rischio che la conflittualità tra coniugi, che spesso caratterizza alcune delle fattispecie che determinano le cessazione del regime patrimoniale legale, possa riverberarsi anche nella gestione e nelle scelte che afferiscano ai beni aziendali caduti nella comunione de residuo” (Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo);
  • “il carattere poi ordinario della comunione che verrebbe in tal modo a determinarsi, oltre ad incidere sulle regole gestionali della stessa, porrebbe il problema dei potenziali esiti esiziali per la stessa sopravvivenza dell'impresa, posto che, in assenza di una specifica previsione che contempli una prelazione a favore del coniuge già imprenditore, all'esito della divisione, ove il complesso aziendale non risultasse comodamente divisibile, ben potrebbe chiederne l'attribuzione il coniuge non imprenditore, ovvero, in assenza di richieste in tal senso da parte dei condividenti, si potrebbe addivenire alla alienazione a terzi” (Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo);
  • “non trascurabile appare poi la scarsa razionalità che implica sempre la natura reale del diritto in esame, nel caso di morte del coniuge non imprenditore, che determinando del pari lo scioglimento della comunione legale, verrebbe a creare la comunione sui beni di cui all'art. 178 c.c., tra il coniuge imprenditore e gli eredi dell'altro coniuge, che ben potrebbero essere anche estranei al nucleo familiare ristretto (si pensi all'ipotesi in cui dal matrimonio non siano nati figli, con la successione dei fratelli del de cuius, o l'individuazione di eredi terzi rispetto alla famiglia, nei limiti della disponibile)” (Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa familiare e comunione de residuo);
  • “d'altronde non appare facilmente conciliabile con la natura reale del diritto la previsione secondo cui cadano in comunione anche gli incrementi, che per la loro connotazione, in parte anche immateriale (si pensi alla componente spesso rilevantissima dell'avviamento), mal si prestano a configurare una comunione in senso reale sui medesimi”.

Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889: conclusioni su impresa familiare e comunione de residuo

La sentenza Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889 e impresa familiare e comunione de residuo, è di sicuro interesse.

Si tratta di una sentenza importante: una delle numerose sentenze di rilievo nel campo del diritto di famiglia. Anche con questa sentenza la S.C. ha dimostrato di avere ben presente le conseguenze pratiche che derivano dall’applicazione delle disposizioni, facendo applicazione delle norme soprattutto in questa chiave funzionale.

File Allegati:

 Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889

Cassazione Sezioni Unite 17 maggio 2022 n. 15889