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Assegno mantenimento figli

29 maggio 2025

Assegno mantenimento figli: cos’è e come funziona davvero?

L'assegno di mantenimento è il contributo economico che un genitore è tenuto a versare all'altro per i figli dopo una separazione o un divorzio.

Ma quando è dovuto? Come si stabilisce l'importo? E cosa cambia se il genitore ha uno stipendio di 1500 euro?

In questo articolo approfondiamo il significato giuridico dell'assegno, i criteri per il calcolo e le differenze tra figli minorenni e maggiorenni. Una guida pratica e aggiornata che ti aiuterà a orientarti tra obblighi legali, prassi dei tribunali ed esempi realistici.

Assegno mantenimento figli
Assegno mantenimento figli

Che cosa comporta l’obbligo economico verso i figli

In caso di separazione o divorzio, la legge italiana non lascia margini di discrezionalità sull’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli. Si tratta di un dovere previsto espressamente dall’articolo 315-bis del Codice Civile, che impone a entrambi i genitori il compito di garantire il sostegno economico e morale della prole, rispettandone le capacità, le inclinazioni e le aspirazioni. Non è un semplice dovere morale, ma un vero obbligo giuridico, che resta in vigore anche se la coppia si scioglie.

Il mantenimento non si esaurisce con la fornitura di vitto e alloggio: include anche le spese scolastiche, sanitarie, sportive e ricreative, così da assicurare al figlio una crescita il più possibile simile a quella che avrebbe avuto se i genitori fossero rimasti insieme. In questo senso, la finalità del contributo è evitare che i figli subiscano una penalizzazione nel loro stile di vita a causa della fine del rapporto tra i genitori.

Molti genitori pensano, erroneamente, che basti “tenere con sé” i figli per adempiere all’obbligo di mantenimento. In realtà, la legge distingue tra il tempo trascorso insieme e l’effettiva contribuzione economica, che deve essere commisurata anche al reddito e al patrimonio personale. Da qui nasce la necessità, in molti casi, di fissare un importo mensile: il cosiddetto assegno di mantenimento.

Assegno mantenimento figli: che cos’è e da cosa dipende

L’assegno di mantenimento per i figli è un contributo economico stabilito a favore del genitore collocatario, ovvero quello con cui i figli convivono in misura prevalente. Viene determinato dal giudice nei procedimenti giudiziali, oppure concordato dai genitori nei casi consensuali, ma sempre con il controllo dell’autorità giudiziaria. Lo scopo dell’assegno è garantire che le necessità quotidiane dei figli continuino a essere coperte, anche quando i genitori non vivono più sotto lo stesso tetto.

La misura dell’assegno viene decisa in base a diversi fattori: le esigenze del figlio, il tempo trascorso con ciascun genitore, le capacità economiche delle parti e il tenore di vita precedente alla separazione. Il giudice, nel fissare l'importo, tiene conto anche dell'apporto economico indiretto offerto dal genitore collocatario, come il lavoro domestico e l'accudimento.

L’assegno è dovuto sia in caso di figli nati nel matrimonio che fuori dal matrimonio, e copre anche i figli maggiorenni non ancora economicamente autonomi. Non è un “premio” per il genitore che lo riceve, ma uno strumento per equilibrare le responsabilità e i carichi economici tra i due genitori. Anche in presenza di affidamento condiviso, può essere stabilito un assegno, se le condizioni economiche dei genitori sono significativamente diverse.

Calcolo assegno mantenimento figli: criteri e orientamenti

Stabilire a quanto ammonta l’assegno di mantenimento per i figli non è mai una questione automatica. In Italia non esistono tabelle ufficiali con importi fissi, e il giudice decide caso per caso, basandosi su criteri di proporzionalità ed equità. Le variabili considerate sono molteplici: il reddito netto dei genitori, il tempo che ciascuno trascorre con i figli, il tenore di vita precedente alla separazione e la capacità economica complessiva, inclusi beni immobili e spese fisse.

Un primo criterio pratico riguarda il reddito del genitore obbligato. Ad esempio:

  • con uno stipendio mensile netto di 1500 euro, l’assegno per un figlio si colloca spesso tra 350 e 450 euro, in base alla presenza o meno di altre spese o figli a carico;
  • se lo stipendio scende a 1000 euro, si può comunque prevedere un mantenimento minimo di 200–250 euro, perché la giurisprudenza tende a riconoscere un contributo anche al genitore con reddito basso, salvo casi di comprovata impossibilità;
  • con un reddito da 1900 o 2000 euro, l’importo medio per un figlio è spesso tra 400 e 500 euro, salvo che il tempo di permanenza con il genitore sia elevato o ci siano altri obblighi in corso (ad esempio un assegno all’ex coniuge);
  • se il reddito è di 3000 euro o più, l’importo può salire tra 500 e 700 euro, ma con una tendenza dei giudici a evitare cifre sproporzionate alle reali esigenze del figlio.
Il numero dei figli incide, ma non in modo lineare. Per due figli, non si raddoppia l’importo previsto per uno: si applica generalmente un aumento più contenuto. Ad esempio, da 450 euro per un figlio si può arrivare a 700 per due figli, e a 900–1000 euro per tre figli, tenendo conto delle economie di scala e del patrimonio complessivo.

Altri fattori decisivi nel calcolo sono: la presenza di un mutuo o affitto da parte del genitore obbligato, l’eventuale assegnazione della casa coniugale all’altro genitore, e la ripartizione delle spese straordinarie. In presenza di accordi tra le parti, il giudice può approvarli se rispettano l’interesse del minore, ma può anche modificarli d’ufficio se li ritiene inadeguati.

Per orientarsi, molti avvocati utilizzano modelli statistici e parametri tratti dall’esperienza dei tribunali (come le linee guida del Tribunale di Monza), ma la stima finale deve essere sempre personalizzata. L’assistenza legale è utile proprio per proporre un importo realistico, sostenibile e difendibile anche in giudizio.

Come cambia l’obbligo con il raggiungimento della maggiore età

Un errore piuttosto comune è pensare che, una volta compiuti i 18 anni, l’obbligo di mantenimento nei confronti dei figli venga automaticamente meno. In realtà non è così: il raggiungimento della maggiore età non rappresenta, di per sé, una causa di cessazione dell’assegno di mantenimento. Il principio affermato dalla giurisprudenza è che il figlio maggiorenne continua ad avere diritto al sostegno economico finché non diventa realmente autosufficiente dal punto di vista finanziario.

L’obbligo può quindi protrarsi per anni, specie se il figlio sta ancora studiando o se sta cercando un impiego. Tuttavia, esiste un limite implicito a questa situazione: se il figlio non si impegna attivamente per raggiungere l’autonomia, oppure rifiuta offerte di lavoro senza valide motivazioni, il genitore può chiedere al giudice di revocare o ridurre il mantenimento. Questo principio è stato ribadito da numerose pronunce, tra cui la sentenza n. 32529/2018 della Cassazione.

Per i figli maggiorenni con disabilità gravi o invalidità riconosciuta, il discorso è diverso. In questi casi, l’obbligo di mantenimento può persistere anche a lungo termine, salvo che il figlio percepisca sussidi o pensioni che coprano adeguatamente i suoi bisogni. È quindi fondamentale valutare la situazione concreta, tenendo conto delle effettive possibilità economiche del figlio, del suo comportamento e delle eventuali entrate alternative.

Mantenimento figli stipendio 1500 euro: un caso concreto

Una delle domande più frequenti che riceviamo nello studio riguarda proprio l’assegno di mantenimento nel caso in cui il genitore obbligato percepisca uno stipendio netto di 1500 euro al mese. Si tratta di una fascia di reddito piuttosto comune, ma che pone diverse criticità nel bilanciare le esigenze del figlio con la sostenibilità economica del genitore.

In linea generale, e secondo le indicazioni orientative di alcuni tribunali come quello di Monza, un assegno per un solo figlio in presenza di questo reddito può variare tra i 350 e i 450 euro. Naturalmente, si tratta di un intervallo di riferimento: la cifra può essere più bassa se il genitore accudisce il figlio per molto tempo o se l’altro genitore ha un reddito superiore. In caso di due figli, l’importo totale tende ad aumentare, ma non in modo proporzionale: è realistico ipotizzare un contributo complessivo intorno ai 550–650 euro.

Nella pratica, il giudice considera anche eventuali spese fisse del genitore pagante, come l’affitto, le rate di prestiti, il mantenimento dell’ex coniuge o altri figli. A fronte di queste voci, l’importo dell’assegno potrebbe essere ridotto per evitare che il genitore si trovi in una condizione di squilibrio economico insostenibile. In alternativa, si può concordare un diverso equilibrio nella divisione delle spese straordinarie o nella gestione diretta delle necessità quotidiane del figlio, evitando un trasferimento monetario fisso.

Reddito e capacità contributiva dei genitori

Il principio cardine nella determinazione dell’assegno di mantenimento è quello della proporzionalità rispetto alle capacità economiche dei genitori. Il giudice non si limita a guardare lo stipendio mensile, ma considera l’intero quadro reddituale: eventuali immobili, entrate non da lavoro dipendente, disponibilità liquide, investimenti. È un’analisi globale, necessaria per garantire un contributo equo ma anche sostenibile.

Se i genitori hanno redditi molto diversi, sarà quello più abbiente a dover versare una somma maggiore, anche nel caso di affidamento condiviso. La logica è semplice: assicurare al figlio una condizione di vita il più possibile simile a quella avuta durante la convivenza familiare. Questo non significa replicare esattamente il tenore di vita precedente, ma mantenerne un livello compatibile con le reali possibilità della famiglia.

La capacità contributiva non si misura solo con le buste paga. Un genitore che lavora part-time ma ha proprietà immobiliari non può essere considerato meno capiente di un altro con uno stipendio fisso ma nessun patrimonio. La giurisprudenza ha più volte chiarito che contano anche i benefici indiretti, come l’uso gratuito di una casa di proprietà o la disponibilità di supporto economico da parte della famiglia d’origine. Per questo motivo, l’assistenza di un avvocato esperto può essere determinante nel raccogliere la documentazione corretta e formulare una proposta fondata.

Assegno e spese extra: come distinguere tra ordinario e straordinario

Uno dei punti più controversi nelle separazioni riguarda la distinzione tra spese ordinarie e straordinarie. Spesso capita che un genitore si trovi a sostenere una spesa imprevista per i figli e pretenda automaticamente il rimborso dell’altra metà. Ma non tutte le spese danno diritto a un rimborso: dipende dalla loro natura e dalla presenza o meno dell’assegno di mantenimento.

Le spese ordinarie sono quelle che si ripetono con regolarità e che possono essere previste: pasti, abbigliamento, trasporto quotidiano, materiale scolastico di base. Sono, di norma, coperte dall’assegno di mantenimento e ricadono sotto la gestione del genitore che lo riceve. Non devono essere concordate ogni volta.

Le spese straordinarie, invece, sono episodiche, imprevedibili e spesso di importo elevato: visite mediche specialistiche, occhiali, viaggi studio, attività sportive particolari, corsi privati. Per queste spese è buona prassi – e spesso previsto nei verbali di separazione – che i genitori si consultino prima. In molti tribunali si usano dei protocolli locali che elencano in dettaglio cosa è incluso nell’una o nell’altra categoria. È utile ricordare che, anche in assenza di accordo specifico, il principio di collaborazione tra genitori resta centrale: se l’intervento è urgente e necessario, il rimborso può comunque essere richiesto successivamente.

Effetti fiscali legati al mantenimento dei figli

Sul piano fiscale, l’assegno di mantenimento destinato ai figli ha un trattamento molto diverso rispetto a quello previsto per l’ex coniuge. In particolare, l’assegno per i figli non costituisce reddito per chi lo riceve, né è deducibile per chi lo versa. Non deve essere dichiarato in sede di dichiarazione dei redditi, né può generare detrazioni IRPEF.

Questa impostazione, ribadita costantemente dall’Agenzia delle Entrate, mira a escludere l’assegno dal circuito fiscale proprio perché si considera un dovere naturale e giuridico del genitore, non un trasferimento di ricchezza tassabile. Per contro, l’assegno all’ex coniuge (se determinato in funzione del mantenimento e non a titolo di assegno divorzile) è deducibile dal reddito del soggetto obbligato e tassato in capo al percettore.

Per quanto riguarda le detrazioni per figli a carico, esse competono in proporzione al contributo economico effettivamente sostenuto da ciascun genitore. In assenza di accordo diverso, le detrazioni IRPEF si dividono al 50%. Tuttavia, il genitore che sostiene integralmente le spese può chiedere di usufruire del 100% delle detrazioni, a condizione che l’altro vi rinunci. Anche su questo punto, una consulenza legale e fiscale mirata può evitare errori o contestazioni future, soprattutto nei casi di separazioni conflittuali.

Linee guida giurisprudenziali e casi pratici ricorrenti

La giurisprudenza negli ultimi anni ha contribuito in modo significativo a definire meglio i criteri per la determinazione dell’assegno di mantenimento, offrendo orientamenti utili anche in assenza di parametri fissi. La Corte di Cassazione, in particolare, ha più volte ribadito che l’assegno deve essere proporzionato non solo al reddito dei genitori, ma anche alle esigenze concrete del figlio, alla durata della convivenza e alla distribuzione del tempo tra i genitori.

Una sentenza molto citata (Cass. n. 19299/2020) ha confermato che l’assegno va determinato sulla base di una valutazione complessiva che tenga conto del tenore di vita del figlio in costanza di convivenza, della durata del tempo trascorso presso ciascun genitore e della valenza economica dei compiti di cura. Questo significa che, anche in presenza di affidamento condiviso, il genitore con reddito inferiore o che si occupa meno del figlio potrebbe essere tenuto a versare un assegno.

Nella pratica quotidiana, gli studi legali affrontano spesso situazioni in cui un genitore si dichiara nullatenente o sottopone redditi molto bassi. In questi casi, i tribunali tendono a presumere una capacità economica minima, stabilendo comunque un assegno, salvo prova concreta del contrario. Anche l’assegnazione della casa coniugale o la presenza di altri figli da relazioni precedenti possono incidere sulla misura del mantenimento, rendendo ogni caso unico e meritevole di un’analisi dettagliata.

Conclusioni: come orientarsi tra obblighi e possibilità

L’assegno di mantenimento per i figli rappresenta uno degli aspetti più delicati da affrontare in caso di separazione o divorzio. È un obbligo giuridico e morale, ma anche una questione pratica che impone un equilibrio tra le necessità dei figli e le possibilità economiche di ciascun genitore. Non esistono automatismi: ogni situazione familiare va valutata nel dettaglio, considerando redditi, tempi di permanenza, spese fisse, patrimonio e perfino comportamenti concreti dei figli maggiorenni.

Né il genitore che lo riceve, né quello che lo versa devono sentirsi in una posizione di debolezza o di eccessivo sacrificio. Il sistema normativo e la giurisprudenza offrono strumenti per calibrare gli obblighi sulla realtà economica e familiare, evitando forzature e favorendo, per quanto possibile, soluzioni condivise. Tuttavia, proprio la complessità del quadro richiede spesso il supporto di un professionista.

Rivolgersi a un avvocato esperto in diritto di famiglia consente di affrontare queste questioni con consapevolezza, chiarendo subito quali sono i margini di trattativa, le probabilità in caso di giudizio e le migliori soluzioni per tutelare i figli. Il rischio, altrimenti, è di sottovalutare o sopravvalutare diritti e doveri, alimentando conflitti o aspettative irrealistiche.

Se desideri una consulenza legale, puoi contattare i recapiti dello studio presenti nella pagina.

FAQ: domande frequenti su calcolo e durata del mantenimento

1. Come si calcola l’assegno di mantenimento per i figli?

Non esiste un calcolo matematico fisso, ma il giudice considera redditi, tenore di vita precedente, tempi di permanenza con ciascun genitore e capacità economiche complessive.

2. Con uno stipendio di 1500 euro, quanto può essere l’assegno?

Indicativamente tra i 350 e i 450 euro per un figlio. Ma la cifra varia in base al numero di figli, agli accordi di affidamento e alla situazione dell’altro genitore.

3. L’assegno si deve versare anche se il figlio è maggiorenne?

Sì, finché il figlio non è economicamente autosufficiente. Può cessare solo in caso di inattività ingiustificata o indipendenza economica comprovata.

4. Le spese straordinarie sono incluse nell’assegno?

No. Le spese straordinarie (mediche, scolastiche, sportive non ordinarie) vanno suddivise tra i genitori e spesso richiedono accordo preventivo.

5. Chi riceve l’assegno deve dichiararlo al fisco?

No. L’assegno di mantenimento per i figli non è un reddito imponibile e non va dichiarato. Non è nemmeno deducibile per chi lo versa.

6. È possibile modificare l’importo dell’assegno nel tempo?

Sì, se cambiano le condizioni economiche o familiari. Serve un nuovo accordo tra le parti o un ricorso al giudice per la revisione.

7. Il mantenimento si può evitare se i genitori hanno lo stesso reddito?

Non sempre. Anche con redditi simili, se i figli vivono prevalentemente con uno solo dei genitori, può essere previsto un assegno per coprire le spese ordinarie.

8. Il figlio può rinunciare al mantenimento?

No. L’assegno è un diritto del figlio, non un favore al genitore. Solo un giudice può dichiarare cessato l’obbligo in base a criteri oggettivi.

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