Blog Avvocati Divorzisti

L’affidamento temporaneo del minore: quando viene disposto e come funziona

13 maggio 2025

Cos’è l’affidamento temporaneo e quando viene disposto? L’affido temporaneo è una misura prevista dalla legge per proteggere i minori che, per vari motivi, non possono restare nella propria famiglia. Il giudice interviene quando vi sono situazioni di abbandono, incuria, o gravi difficoltà familiari, disponendo l’affidamento del minore a un’altra famiglia o a una comunità. In questo articolo, scoprirai come funziona l’affido temporaneo, quali sono i diritti dei genitori naturali, il ruolo dei servizi sociali e le differenze rispetto ad altre forme di affidamento.

Affidamento temporaneo

Cos’è l’affido temporaneo e in quali casi si applica

L’affido temporaneo è un istituto giuridico regolato dall’articolo 2 della legge 184/1983, così come modificata dalla legge 149/2001. Si tratta di una misura di protezione per il minore, adottata quando la famiglia d’origine si trova in una condizione di difficoltà tale da compromettere la sua capacità di provvedere adeguatamente ai bisogni del figlio.

Il provvedimento può essere disposto dal giudice tutelare o dal tribunale per i minorenni, a seconda della situazione, e viene attuato su proposta dei servizi sociali. La finalità è quella di garantire al minore un ambiente sano e sicuro in cui vivere, mantenendo però l’obiettivo di un eventuale rientro in famiglia una volta superate le difficoltà.

L’affidamento può riguardare sia bambini che adolescenti e si distingue per la sua natura temporanea: non si tratta di una misura definitiva, ma di una soluzione transitoria in attesa che la famiglia ritrovi un equilibrio oppure che si definiscano altre soluzioni, come l’adozione nei casi più gravi e irreversibili.

Quando un minore non può restare in famiglia

Le situazioni che portano all’allontanamento di un minore dalla propria famiglia d’origine sono spesso complesse. Non si tratta necessariamente di maltrattamenti evidenti: anche l’incapacità cronica di garantire al figlio una crescita adeguata può giustificare l’intervento del giudice.

Tra le cause più frequenti si trovano la tossicodipendenza di uno o entrambi i genitori, situazioni di grave povertà materiale, disturbi psichiatrici non curati, violenza domestica, abbandono scolastico protratto, trascuratezza igienico-sanitaria o l’assenza di una rete parentale in grado di sostenere il minore.

Il giudice, però, non può disporre l’allontanamento senza una valutazione approfondita. I servizi sociali devono fornire una relazione dettagliata, con elementi concreti che dimostrino il pregiudizio per il minore, e motivare la richiesta di affido come misura necessaria e proporzionata. In alcuni casi, prima dell’affidamento vero e proprio, viene tentato un sostegno alla genitorialità o l’adozione di misure meno invasive.

I soggetti coinvolti nella procedura

L’attivazione dell’affido coinvolge una pluralità di soggetti, ciascuno con un ruolo definito. Al centro vi è sempre l’interesse del minore, ma attorno a lui operano figure diverse: i genitori naturali, la famiglia affidataria, i servizi sociali e il giudice.

I servizi sociali del Comune sono spesso i primi a rilevare una situazione critica. Dopo i colloqui con i familiari e con il minore, possono proporre l’affidamento al giudice. Il tribunale per i minorenni (o il giudice tutelare in certi casi) emette il provvedimento, valutando la documentazione e ascoltando, se necessario, anche il minore.

La famiglia affidataria, che può essere una coppia o anche un singolo, è selezionata e preparata dai servizi. Deve garantire non solo accoglienza materiale, ma anche un ambiente relazionale e affettivo adeguato. I genitori naturali, salvo gravi impedimenti, mantengono i loro diritti e possono avere contatti con il figlio, secondo le modalità previste dal giudice. La collaborazione tra i soggetti coinvolti è essenziale per il buon esito del percorso.

Come funziona il provvedimento di affidamento

Il provvedimento di affidamento ha natura giudiziale e viene disposto dal tribunale per i minorenni, su proposta dei servizi sociali. Una volta ricevuta la segnalazione, il giudice esamina la situazione del minore, ascolta le parti coinvolte – quando possibile anche il minore stesso – e valuta se sussistano le condizioni per l’allontanamento dalla famiglia d’origine.

La decisione può essere preceduta da una fase di osservazione o da misure alternative, come l’assistenza domiciliare educativa, che mira a rafforzare le competenze genitoriali. Se queste misure non producono effetti, si procede all’affidamento temporaneo. Il giudice individua i soggetti affidatari (una famiglia, un parente, una comunità educativa) e stabilisce le modalità dell’affido, compresi i contatti con i genitori biologici e il monitoraggio da parte dei servizi.

Nel decreto di affidamento sono indicati tutti gli aspetti pratici e giuridici: durata, luoghi di permanenza, obblighi informativi verso il tribunale, eventuale necessità di interventi terapeutici. Si tratta di un provvedimento molto dettagliato, che mira a evitare ambiguità e garantire continuità e sicurezza al minore.

Il controllo dell’esecuzione è affidato ai servizi sociali, che devono aggiornare periodicamente il giudice sulla situazione evolutiva del minore e della famiglia. Il provvedimento può essere revocato o modificato in ogni momento, se mutano le condizioni originarie.

Durata del provvedimento e possibilità di proroga

L’affidamento temporaneo non ha una durata fissa ma, per legge, non dovrebbe superare i due anni. Questa soglia temporale serve a tutelare la stabilità del minore, evitando che resti in una situazione provvisoria troppo a lungo. Tuttavia, nei fatti, molti provvedimenti vengono prorogati, anche più volte, qualora persistano le condizioni di difficoltà originarie o non sia stato trovato un rientro sicuro in famiglia.

La proroga deve sempre essere motivata da una nuova valutazione: non può essere automatica. I servizi sociali devono fornire aggiornamenti costanti sul percorso del minore, sull’eventuale evoluzione dei genitori biologici e sull’idoneità della famiglia affidataria. In assenza di miglioramenti concreti o se si manifestano situazioni di pregiudizio, il tribunale può decidere di orientarsi verso soluzioni più stabili, come l’affido preadottivo o l’adozione.

Va ricordato che, in caso di affidamento a parenti entro il quarto grado, la durata può essere più flessibile. Questo perché il legame familiare viene ritenuto un elemento favorevole alla continuità affettiva, purché siano garantiti adeguati strumenti di sostegno e vigilanza.

La durata del provvedimento è spesso uno dei punti più discussi tra i genitori e le istituzioni: molti genitori chiedono il rientro del figlio prima del termine previsto, mentre altri non collaborano affatto, ostacolando il percorso. Anche per questo motivo è importante l’assistenza legale in ogni fase.

I diritti dei genitori naturali durante il periodo

Durante l’intero periodo di affidamento, i genitori naturali non perdono la responsabilità genitoriale, salvo che il tribunale disponga diversamente. Questo significa che continuano a essere titolari dei principali diritti e doveri nei confronti del figlio, anche se non convivono più con lui. La legge, infatti, prevede che l’affidamento non interrompa il legame giuridico tra genitori e figli.

I genitori possono mantenere rapporti con il minore, attraverso visite, telefonate o incontri assistiti, secondo le modalità decise dal giudice. In molti casi, l’affidamento è accompagnato da un progetto educativo che coinvolge attivamente i genitori, con l’obiettivo di favorire un progressivo riavvicinamento. È previsto anche il loro coinvolgimento nelle decisioni sanitarie o scolastiche rilevanti, a meno che non siano stati sospesi i diritti di responsabilità genitoriale.

Tuttavia, questi diritti non sono assoluti. Possono essere limitati o sospesi se il comportamento dei genitori è dannoso per il figlio o se ostacola l’intervento educativo in corso. Ad esempio, un genitore che tenta di sottrarre il minore o che si presenta in stato alterato agli incontri può vedersi ridurre le possibilità di contatto.

Il diritto di difesa resta intatto: i genitori possono opporsi al provvedimento, presentare memorie difensive o chiedere una revisione delle condizioni, anche con l’assistenza di un avvocato specializzato in diritto di famiglia e minorile. L’affidamento, infatti, non è una sanzione ma una misura di protezione, e va gestita come tale.

Ruolo e responsabilità della famiglia affidataria

Accogliere un minore in affido non è semplicemente un gesto di solidarietà: comporta obblighi, doveri precisi e una responsabilità educativa rilevante. La famiglia affidataria assume un ruolo centrale nel percorso del minore, diventando per un periodo il suo punto di riferimento quotidiano, affettivo e relazionale.

Dal punto di vista giuridico, la famiglia affidataria esercita i poteri connessi alla cura ordinaria del minore. Può prendere decisioni su aspetti di vita quotidiana, dalla gestione della scuola all’assistenza sanitaria di base, ma non può compiere scelte straordinarie – come ad esempio il cambio di residenza o l’interruzione degli studi – se non con l’autorizzazione del giudice o dei genitori biologici.

È richiesta un’elevata capacità di relazione, equilibrio emotivo e disponibilità a collaborare con i servizi sociali. La famiglia affidataria deve essere pronta a sostenere anche situazioni complesse, come le difficoltà comportamentali del minore o i conflitti legati al rapporto con la famiglia d’origine. Non meno importante è la consapevolezza che l’affido è temporaneo e che l’obiettivo, se possibile, è il rientro del minore nella sua famiglia naturale.

L’idoneità viene valutata in fase di selezione attraverso colloqui, corsi di formazione e verifiche domiciliari. In molti casi, il percorso è seguito da équipe specializzate che offrono un sostegno costante alla famiglia affidataria.

Affido temporaneo e affido preadottivo: differenze

L’affido temporaneo e l’affido preadottivo hanno in comune il fatto di prevedere l’accoglienza di un minore da parte di un nucleo familiare diverso da quello di origine. Tuttavia, si tratta di due istituti giuridici profondamente diversi per finalità, durata e implicazioni.

Nel primo caso, come già visto, lo scopo è quello di offrire una sistemazione provvisoria in attesa che la famiglia biologica ritrovi un equilibrio. È una misura che mantiene viva la possibilità del rientro del minore presso i genitori naturali. L’affido preadottivo, invece, è l’anticamera dell’adozione: viene disposto quando il tribunale ha già dichiarato lo stato di adottabilità del minore, e l’obiettivo è il definitivo inserimento in una nuova famiglia.

Un altro aspetto rilevante è il rapporto con i genitori d’origine: nell’affido temporaneo, essi mantengono la responsabilità genitoriale, mentre nell’affido preadottivo essa viene sospesa o revocata. Di conseguenza, nel secondo caso non sono previsti contatti tra il minore e la famiglia di origine.

Anche la selezione delle famiglie è differente. Per l’affido preadottivo si accede tramite la procedura di adozione, che prevede requisiti più stringenti e un iter autorizzativo specifico da parte del Tribunale per i minorenni. Le due forme di accoglienza vanno quindi comprese nei loro rispettivi ambiti per evitare confusioni.

Il supporto dei servizi sociali e l’intervento del giudice

I servizi sociali e il giudice per i minorenni rappresentano due pilastri fondamentali nell’affidamento. Senza un’interazione costante tra questi soggetti, il percorso del minore rischia di essere disorganico e poco tutelato.

I servizi sociali seguono tutte le fasi: dalla valutazione iniziale delle condizioni della famiglia d’origine fino al monitoraggio dell’affido. Sono loro a proporre il provvedimento, a selezionare le famiglie affidatarie, a predisporre i progetti educativi e a coordinare gli interventi di sostegno psicologico o terapeutico, quando necessari.

Il giudice, da parte sua, ha un compito di vigilanza e garanzia. Deve autorizzare o confermare ogni provvedimento che incide sui diritti del minore e dei genitori. Può disporre audizioni, incontri protetti, modificare le modalità di visita, prorogare o revocare l’affidamento. Il suo obiettivo resta sempre quello di assicurare al minore una condizione di vita stabile e compatibile con le sue esigenze di crescita.

Un affido ben riuscito è quasi sempre frutto di un dialogo costante tra operatori, giudici, famiglie affidatarie e genitori naturali. Dove questo scambio manca, è facile che emergano conflitti, fraintendimenti o situazioni di stallo, che mettono a rischio il benessere del minore. Per questo, nei casi più delicati, è utile farsi affiancare da un avvocato esperto, che conosca il funzionamento delle procedure minorili.

Tutela legale e possibilità di ricorso

Chi si trova coinvolto in un procedimento di affido – sia come genitore, sia come affidatario – può aver bisogno di assistenza legale per comprendere pienamente i propri diritti e valutare se vi siano margini per impugnare il provvedimento.

Il tribunale per i minorenni è competente per la maggior parte delle decisioni sull’affidamento, ma non agisce in modo insindacabile. È possibile, infatti, ricorrere in appello avverso il decreto che dispone l’affido, o presentare istanza di modifica se le condizioni familiari sono cambiate. I genitori possono anche presentare opposizione alla proroga del provvedimento, allegando nuove prove o documentazione che dimostri il superamento delle difficoltà.

Talvolta, in presenza di comportamenti ritenuti illegittimi da parte dei servizi sociali – ad esempio, in caso di limitazioni arbitrarie ai contatti o inadempienze – è possibile coinvolgere il giudice tutelare, oppure agire in sede civile o amministrativa per tutelare il proprio ruolo genitoriale.

In situazioni di particolare delicatezza, può essere utile affidarsi a un avvocato che conosca bene la materia del diritto minorile e che possa intervenire anche in fase preventiva, aiutando a costruire un percorso alternativo all’allontanamento. Non sempre, infatti, l’affido è l’unica soluzione: in alcuni casi, un supporto familiare mirato può evitare l’intervento giudiziale.

FAQ sull’affidamento temporaneo

1. Chi decide l’affidamento temporaneo?

Il provvedimento viene disposto dal tribunale per i minorenni, su proposta dei servizi sociali o in seguito a una segnalazione. Il giudice valuta la documentazione, ascolta le parti e stabilisce le modalità dell’affidamento.

2. Quanto dura l’affido temporaneo?

La durata massima prevista è di due anni. Tuttavia, in presenza di gravi difficoltà persistenti, il provvedimento può essere prorogato, sempre previa valutazione del giudice.

3. I genitori possono vedere il figlio durante l’affido?

Sì, i genitori mantengono la responsabilità genitoriale, salvo diversa disposizione. Hanno diritto a mantenere i rapporti con il figlio, secondo le modalità indicate nel decreto di affidamento.

4. L’affidamento temporaneo può diventare adozione?

Solo in casi molto gravi, quando il tribunale dichiara lo stato di adottabilità del minore. L’affido temporaneo non è finalizzato all’adozione e si distingue dall’affido preadottivo.

5. È possibile opporsi a un provvedimento di affido?

Sì. I genitori possono presentare opposizione o chiedere una modifica del provvedimento, specialmente se ci sono elementi nuovi che dimostrano la possibilità di riaccogliere il figlio.