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Collocamento paritario e affidamento paritetico dei figli: cosa prevede la legge e cosa dice la Cassazione

29 marzo 2025

Sempre più genitori si chiedono se sia possibile ottenere un collocamento paritario o un affidamento paritetico dei figli, specie quando entrambi sono presenti e disponibili.

Ma a che età può essere concesso un affidamento paritario dei figli? E cosa prevedono le sentenze più recenti? In questo articolo analizziamo i criteri concreti per richiedere un collocamento paritetico del figlio, le conseguenze sul mantenimento e i principi affermati dalla Cassazione, in particolare con l’ordinanza n. 1486/2025. Prosegui nella lettura per orientarti con chiarezza su questo tema.

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Il principio di bigenitorialità: cosa significa davvero oggi

Il principio di bigenitorialità è ormai parte stabile dell’ordinamento italiano, ma la sua attuazione concreta continua a suscitare dubbi e differenze interpretative nei tribunali. Non si tratta solo di riconoscere a entrambi i genitori la responsabilità genitoriale, ma di garantire che i figli possano mantenere un rapporto pieno, continuativo e paritario con entrambi anche dopo la separazione o il divorzio. Questo principio, infatti, non si esaurisce nella titolarità delle decisioni educative, ma implica la condivisione effettiva della quotidianità, dei tempi, degli spazi e degli affetti. Proprio da questo si origina il crescente interesse per soluzioni che permettano una distribuzione equilibrata del tempo che il minore trascorre con ciascun genitore, evitando che uno dei due venga ridotto a un ruolo marginale. In questo scenario, le formule del collocamento paritario o dell’affidamento paritetico diventano centrali nella riflessione giuridica e sociale attuale.

Affidamento paritetico e collocamento paritario: due concetti da non confondere

Nel linguaggio giuridico, affidamento e collocamento sono concetti distinti. L’affidamento riguarda l’attribuzione del potere decisionale in ordine alle scelte fondamentali della vita del minore: salute, istruzione, educazione, crescita. Nella maggior parte dei casi, l’affidamento resta condiviso tra i genitori anche dopo la separazione. Il collocamento, invece, definisce dove il figlio risiede stabilmente e come vengono distribuiti i tempi di permanenza presso ciascun genitore. È quindi il collocamento, più che l’affidamento, a incidere in modo diretto sulla vita quotidiana del minore. Tuttavia, nella prassi – e anche nella comunicazione dei media e in molte sentenze – i due termini vengono spesso utilizzati come sinonimi, soprattutto quando si fa riferimento a soluzioni “paritarie” o “paritetiche”. Questo uso sovrapposto si è affermato anche nel linguaggio delle persone comuni, che cercano informazioni sull’“affidamento paritetico dei figli” quando in realtà stanno parlando della divisione concreta dei tempi di permanenza. Per ragioni di chiarezza espositiva, e per rispondere meglio all’intento di chi si informa su questi temi, nel presente articolo useremo i termini in modo intercambiabile, pur mantenendo il rigore giuridico necessario.

Art. 337 ter cc: cosa prevede la norma?

La norma centrale in materia di affidamento e collocamento dei figli è l’art. 337-ter c.c., che regola i rapporti tra genitori e figli dopo la separazione. La disposizione stabilisce che il figlio minore ha diritto di mantenere “un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi” e che, per realizzare questa finalità, il giudice deve adottare provvedimenti che rispondano all’esclusivo interesse morale e materiale del minore. Il testo prevede come opzione prioritaria l’affidamento condiviso, ma consente al giudice di stabilire a quale genitore debba essere collocato il figlio, determinando anche “i tempi e le modalità della sua presenza presso ciascun genitore” e “la misura con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione”. È quindi il giudice, caso per caso, a decidere tempi e modalità, ma deve farlo sulla base di una valutazione concreta, che tenga conto dell’effettivo benessere del figlio e del suo diritto a una relazione significativa con entrambi i genitori.

Quando è possibile applicare un regime di affidamento paritario

L’idea di un collocamento paritario dei figli, ovvero una divisione equilibrata dei tempi tra madre e padre, è sempre più spesso richiesta da genitori separati o in via di separazione, desiderosi di mantenere un ruolo pieno nella vita dei propri figli. Ma quando può essere davvero applicato questo regime? Non esiste una norma che lo imponga in automatico: tutto dipende da una valutazione concreta e caso per caso, che tenga conto dell’interesse del minore. I giudici esaminano elementi come la distanza tra le abitazioni, la disponibilità di tempo di ciascun genitore, le abitudini del figlio, l’eventuale presenza di fratelli o sorelle, il clima di collaborazione tra i genitori, l’età del minore e la sua capacità di adattamento. In alcuni casi, anche per figli molto piccoli, i tribunali hanno ritenuto applicabile il collocamento paritario, specialmente quando i genitori abitano vicini e sono entrambi in grado di occuparsi direttamente del bambino. Tuttavia, non mancano ancora resistenze, soprattutto nei confronti della frequentazione notturna con il genitore non convivente. Ed è proprio in questo contesto che si inserisce l’ordinanza n. 1486/2025 della Corte di Cassazione, che ha posto un punto fermo sulla possibilità di applicare un modello realmente paritetico anche per i bambini in età prescolare.

La sentenza della Cassazione n. 1486/2025: verso il collocamento paritetico come regola

Con l’ordinanza n. 1486 del 21 gennaio 2025, la Corte di Cassazione ha introdotto un principio che segna un punto di svolta nel diritto di famiglia. La Corte ha cassato la decisione della Corte d’Appello di Venezia, che aveva escluso il collocamento paritario di una bambina di tre anni basandosi solo sulla sua tenera età, e ha affermato che il giudice non può adottare decisioni fondate su criteri astratti come quello dell’età, senza effettuare una valutazione concreta della situazione familiare. In particolare, i giudici di legittimità hanno criticato il passaggio da un regime di collocamento paritario a uno prevalente presso la madre, avvenuto senza alcuna motivazione in merito alle attitudini genitoriali o alle reali esigenze della minore. È un’affermazione netta: il solo fatto che un bambino sia piccolo non giustifica l’esclusione del padre dalla frequentazione paritetica. Anzi, la Cassazione ribadisce che, anche in età prescolare, il minore ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, senza che uno dei due venga relegato a ruoli marginali o occasionali.

Un caso concreto, ma principi di portata generale

È vero che l’ordinanza della Cassazione n. 1486/2025 trae origine da un caso in cui il regime paritario era già stato applicato in primo grado, ma ciò non ne riduce l’importanza. Al contrario, la Corte coglie l’occasione per affermare principi che trascendono la singola vicenda e che orientano in modo chiaro le future decisioni in materia di affidamento e collocamento dei figli. In particolare, la Cassazione stigmatizza ogni provvedimento che riduca drasticamente la frequentazione di uno dei genitori sulla base di criteri astratti, come l’età del minore o il ruolo “tradizionale” del genitore accudente. Così si legge:

“Le statuizioni sull’affidamento, il collocamento e la frequentazione dei figli devono rispondere ad una valutazione in concreto […] non potendo essere adottati provvedimenti che limitino grandemente la frequentazione tra uno dei genitori e il figlio in applicazione di valutazioni astratte non misurate con la specifica realtà familiare.”

Il principio che si ricava è che il giudice deve sempre considerare l’equilibrio tra i genitori come punto di partenza e che eventuali scostamenti da una soluzione paritetica vanno giustificati con riferimento a elementi specifici. La Cassazione lo chiarisce con forza, affermando che:

“Il compito del giudice è quello di provvedere in modo tale che venga ‘conservato un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori’ […] salvo che vi siano ragioni che, nell’interesse del minore, impongano una diversa soluzione.”

Queste parole valgono non solo per i casi in cui il collocamento paritario è già in corso, ma anche per quelli in cui viene richiesto per la prima volta. La sentenza, in sostanza, non impone un modello matematico, ma riconosce che l’equilibrio genitoriale deve essere la regola e non l’eccezione. Ed è solo quando questo equilibrio non può realizzarsi concretamente che si può e si deve prevedere una diversa articolazione, purché sia motivata in modo serio e non basata su stereotipi.

Un passato sbilanciato: quando il ruolo paterno veniva spesso ridotto

Per anni, la prassi giudiziaria italiana ha seguito una linea improntata alla cosiddetta “maternal preference”, cioè alla convinzione implicita che i figli, soprattutto se piccoli, dovessero vivere prevalentemente con la madre. Questo orientamento, sebbene mai codificato espressamente, ha inciso in modo profondo su migliaia di decisioni. Nella maggior parte dei casi, al padre veniva riconosciuto un diritto di visita limitato a pochi pomeriggi a settimana o a fine settimana alternati, senza pernottamenti, soprattutto nei primi anni di vita dei figli. Il risultato era spesso una genitorialità mutilata, dove l’equilibrio tra le figure educative veniva compromesso. La sentenza della Cassazione del 2025 si inserisce proprio in questa storia e rappresenta una correzione importante di rotta. È una sentenza nata a favore di un padre che chiedeva semplicemente di continuare a essere padre, anche dopo la separazione, e che aveva dimostrato concreta disponibilità e capacità genitoriale. Il riconoscimento del diritto alla bigenitorialità effettiva, anche per i padri, non è solo un’affermazione di principio: è la condizione per una crescita più serena ed equilibrata dei figli.

Collocamento paritario e mantenimento: come cambiano gli equilibri economici in caso di affidamento paritetico

Una delle domande più frequenti che si pongono i genitori interessati al collocamento paritario riguarda il mantenimento: se i figli trascorrono lo stesso tempo con entrambi, è ancora necessario che uno versi un assegno all’altro? La risposta dipende da diversi fattori, tra cui le condizioni economiche dei genitori e l’organizzazione della vita quotidiana dei figli. In linea generale, quando il collocamento è realmente paritetico e i redditi sono comparabili, il giudice può ritenere che non sia necessario un assegno di mantenimento, prevedendo piuttosto che ciascun genitore provveda direttamente alle spese ordinarie durante i periodi di permanenza dei figli presso di sé, e che quelle straordinarie siano divise in proporzione. Tuttavia, non è raro che uno dei due genitori abbia una capacità economica significativamente superiore: in questi casi, l’assegno può essere previsto anche in presenza di un collocamento paritario, con una funzione di riequilibrio, volta ad assicurare ai figli un livello di vita omogeneo e dignitoso con entrambi i genitori. In alternativa, può essere stabilito un assegno di importo contenuto, lasciando a chi lo riceve la copertura delle spese quotidiane. Non esiste un modello fisso: ciò che conta è che la soluzione risponda all’interesse del minore, garantendo continuità, stabilità e una distribuzione equa delle responsabilità genitoriali.

Il ruolo della Cassazione nella definizione dell’equilibrio economico tra i genitori

Anche sul piano economico, l’ordinanza n. 1486/2025 fornisce indicazioni significative. La Corte ha sottolineato che, nel valutare la necessità di un assegno di mantenimento, il giudice deve tener conto non solo del tempo trascorso con ciascun genitore, ma anche della loro effettiva capacità contributiva. Se il collocamento è paritetico, ma uno dei due ha un reddito notevolmente inferiore, non è escluso che venga disposto un contributo economico in suo favore, purché sia adeguatamente motivato. La Corte ha criticato espressamente le soluzioni che attribuiscono il mantenimento in modo automatico, senza considerare le condizioni patrimoniali reali, le spese sostenute in concreto e le dinamiche familiari effettive. Il punto centrale è che, in un regime di affidamento paritetico, il mantenimento deve essere lo strumento per riequilibrare eventuali squilibri, non per cristallizzare ruoli economici predefiniti o stereotipi legati al genere.

Meno assegni, più condivisione: una trasformazione anche culturale

L’adozione di un modello di collocamento paritario, soprattutto se accompagnato dalla parità di reddito e di impegno nella cura dei figli, apre la strada a una nuova concezione del mantenimento: non più un obbligo di uno solo verso l’altro, ma una forma di partecipazione concreta e quotidiana. Questo approccio, già diffuso in molte decisioni dei tribunali di merito, viene ora rafforzato dalla giurisprudenza di legittimità. Si tratta di un cambiamento che va oltre l’aspetto economico e tocca il cuore della relazione genitoriale. Condividere il tempo, le responsabilità e le spese significa anche riconoscersi reciprocamente nel proprio ruolo di genitori. È un’evoluzione che richiede maggiore impegno, ma che offre ai figli la possibilità di crescere in un ambiente equilibrato, dove mamma e papà non sono in competizione ma in cooperazione.

Aspetti psicologici e relazionali nella valutazione dell’affidamento paritetico

La valutazione sull’opportunità di un affidamento paritetico non può prescindere da una riflessione sugli aspetti psicologici e relazionali del singolo caso, ma deve evitare di cadere in generalizzazioni che rischiano di vanificare il principio di bigenitorialità. È vero che in molte separazioni giudiziali il livello di conflitto tra i genitori è elevato, ma proprio per questo non può essere la sola presenza di tensione a giustificare l’esclusione del collocamento paritario. Diversamente, si finirebbe per premiare comportamenti oppositivi o per incentivare, anche involontariamente, strategie ostruzionistiche. Occorre piuttosto valutare con attenzione il comportamento pregresso dei genitori durante la relazione: entrambi erano coinvolti nella cura quotidiana dei figli? Hanno instaurato legami affettivi solidi con ciascun figlio? I bambini manifestano un attaccamento sano e bilanciato nei confronti di entrambi? Se la risposta a queste domande è positiva, e se ciascun genitore è concretamente in grado di gestire il tempo con i figli, allora il regime paritetico può rappresentare, anche dal punto di vista psicologico, la scelta più coerente con l’interesse del minore. Ogni valutazione deve fondarsi su elementi specifici, e non su presunzioni astratte o modelli familiari stereotipati.

A che età è possibile il collocamento paritetico?

Una delle obiezioni più ricorrenti al collocamento paritetico è legata all’età del figlio: c’è chi ritiene che bambini troppo piccoli non possano gestire una vita “divisa” tra due case. La sentenza della Cassazione n. 1486/2025 ha però chiarito che l’età non può essere l’unico criterio per escludere un affidamento paritetico dei figli. Il giudice deve valutare caso per caso, tenendo conto della maturità del bambino, del legame con ciascun genitore e della possibilità concreta di garantire continuità affettiva ed educativa. In altri termini, anche un bambino in età prescolare può beneficiare di un regime di permanenza equamente distribuito, se le condizioni lo permettono. L’età diventa quindi un elemento da considerare, ma non può essere usata come giustificazione automatica per privilegiare uno solo dei due genitori.

Cosa fare se il giudice rifiuta il collocamento paritario senza motivazioni valide

Nonostante l’evoluzione giurisprudenziale, può accadere che un giudice rigetti la richiesta di affidamento paritetico o collocamento paritario dei figli senza una motivazione concreta e fondata. In questi casi, è possibile valutare l’impugnazione della decisione, anche in sede di reclamo o ricorso per cassazione, soprattutto se il provvedimento risulta basato su automatismi o stereotipi. Come ha evidenziato la Corte di Cassazione, ogni deroga al principio di bigenitorialità deve essere giustificata da ragioni specifiche e attinenti al caso concreto. Se il giudice si limita a richiamare la giovane età del minore o il ruolo tradizionale del genitore “più accudente”, senza approfondire le reali condizioni familiari, la decisione può essere contestata. In questi casi è importante farsi assistere da un avvocato esperto in diritto di famiglia, capace di individuare gli elementi giuridici e fattuali utili a tutelare non solo i diritti del genitore, ma soprattutto l’interesse del figlio a mantenere un rapporto pieno con entrambi.

FAQ su Collocamento paritetico e affidamento paritario.

1. Che cos’è l’affidamento paritario dei figli?

L’affidamento paritario dei figli è un modello in cui entrambi i genitori partecipano in modo equilibrato alle decisioni educative e alla gestione della vita quotidiana dei figli. Si fonda sul principio della bigenitorialità e prevede che il ruolo di entrambi i genitori sia valorizzato, anche dopo la separazione.

2. Affidamento paritetico e collocamento paritario: che differenza c’è?

L’affidamento paritetico riguarda la condivisione delle responsabilità genitoriali, mentre il collocamento paritario indica l’equa distribuzione dei tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore. Nella prassi, i due concetti si sovrappongono quando i genitori sono entrambi presenti e attivi nella vita dei figli.

3. Cosa dice la Cassazione sul collocamento paritetico dei figli?

Con l’ordinanza n. 1486/2025, la Cassazione ha affermato che non è legittimo escludere il collocamento paritetico sulla base di criteri generici, come l’età del bambino. Ogni decisione deve fondarsi su una valutazione concreta dell’interesse del minore e sulla capacità di entrambi i genitori di garantire stabilità affettiva e organizzativa.

4. A che età si può chiedere il collocamento paritario dei figli?

Non esiste un limite d’età rigido per chiedere il collocamento paritario. Anche per i bambini in età prescolare, è possibile valutare questa opzione, purché vi siano condizioni che garantiscano il benessere del minore. L’età è un fattore da considerare, ma non può essere l’unico criterio.

5. Il collocamento paritetico è sempre possibile in caso di separazione?

Il collocamento paritetico dei figli non è un diritto automatico, ma una soluzione valutabile caso per caso. Deve esserci disponibilità di entrambi i genitori, assenza di situazioni di rischio e una struttura organizzativa compatibile. Il giudice valuta se questa formula sia realmente nell’interesse del minore.

6. Affidamento paritario e mantenimento: quando è previsto l’assegno?

In presenza di affidamento paritario, l’assegno di mantenimento può essere escluso se i genitori hanno redditi simili e si occupano direttamente delle spese durante i rispettivi periodi. Tuttavia, in caso di squilibrio economico tra le parti, il giudice può disporre un contributo per garantire condizioni di vita comparabili ai figli.

7. Come funziona il mantenimento nel collocamento paritario dei figli?

Nel collocamento paritario, le spese ordinarie possono essere gestite direttamente da ciascun genitore durante la propria settimana, oppure si può prevedere un assegno ridotto. Le scelte variano in base alla situazione economica, all’organizzazione familiare e alla necessità di garantire continuità di vita ai figli.

8. Affidamento paritetico e spese straordinarie: come si dividono?

Le spese straordinarie, in regime di affidamento paritetico, sono in genere ripartite tra i genitori in proporzione ai redditi. La divisione può essere equa (50/50) oppure modulata (es. 70/30) in base alle reali capacità economiche. Il giudice definisce la ripartizione più adatta all’interesse del figlio.